Quando la giustizia arriva per vie poco ortodosse
La giustizia inciampa nell’efficienza
giovedì 9 ottobre 2025

Erola Gràcia
La Legge Organica 1/2025, in vigore dal 1º aprile di quest’anno, è arrivata con una promessa chiara: rendere più efficiente l’amministrazione della giustizia. Un proposito nobile, senza dubbio. Meno carico nei tribunali, più accordi preventivi, meno contenziosi inutili.
Sulla carta sembrava impeccabile.
Ma nella pratica, la teoria si è distorta. Il nuovo obbligo di dimostrare un Meccanismo Alternativo di Risoluzione delle Controversie (MASC) prima di presentare una domanda ha generato più incertezza che efficienza. Perché, cosa succede quando ogni tribunale interpreta la norma a modo suo? Che la giustizia smette di essere universale e comincia a dipendere dal caso.
Il risultato: una stessa legge, due interpretazioni e un sistema che, nel tentativo di essere agile, diventa imprevedibile.
Cosa include la Legge Organica 1/2025
La Legge Organica 1/2025 è nata con un’intenzione ragionevole: ridurre il carico dei tribunali e favorire che le parti risolvano le loro divergenze senza la necessità di arrivare a un processo. In teoria, prima di presentare una domanda, le parti devono tentare un Meccanismo Alternativo di Risoluzione delle Controversie (MASC).
Negoziare, mediare, conciliare… tutto suona come buon senso. I meccanismi ammessi sono tanto vari quanto promettenti:
Negoziazione diretta
Offerta vincolante confidenziale
Mediazione
Conciliazione
Intervento di un esperto indipendente
Diritto collaborativo
Fino a quel punto, nulla da obiettare. Ma la legge, tanto ambiziosa nel suo proposito quanto ambigua nella sua redazione, non ha spiegato con sufficiente chiarezza come dovesse essere comprovata quella negoziazione preliminare. Né quali mezzi siano validi, né quale formato si debba adottare, né cosa accada se una delle parti semplicemente ignora il tentativo di accordo.
Il risultato è stata una sorta di lotteria processuale. Lo stesso burofax, buromail o lettera raccomandata può servire come prova in un tribunale… ed essere respinto in un altro. La giustizia, trasformata in una questione di coordinate.
La teoria si scontra con la pratica
Appena poche settimane fa, uno stesso testo legale, una stessa causa e gli stessi documenti hanno generato due esiti completamente opposti.
Un tribunale l’ha respinta, ritenendo che i buromail e i burofax inviati non comprovassero adeguatamente l’“attività negoziale preliminare” richiesta dalla Legge Organica 1/2025.
Un altro tribunale, invece, l’ha accettata senza esitazioni.
Sì, letteralmente la stessa cosa.
Questo contrasto —più degno di una sceneggiatura che di un sistema giudiziario— mostra fino a che punto la mancanza di criteri chiari possa trasformare la giustizia in una questione di fortuna. La stessa legge che voleva essere un ponte verso l’efficienza processuale si è trasformata, in alcuni casi, in una porta che si apre o si chiude a seconda di chi la sorveglia.
“A volte, per entrare, non basta bussare alla porta.
A volte, bisogna entrare dalla finestra.”
La frase riassume con ironia una realtà scomoda: la norma può essere identica, ma la sua applicazione dipende dal criterio del tribunale che la riceve.
E quando ciò accade, la giustizia si offusca.
I rischi di una legge generica
Il problema della Legge Organica 1/2025 non risiede nella sua intenzione, ma nella sua redazione. Una norma pensata per “migliorare l’efficienza della giustizia” non può lasciare al criterio di ogni tribunale la decisione su quali mezzi siano validi per comprovare un tentativo di negoziazione.
Perché quando la legge è generica, la pratica diventa imprevedibile. E l’imprevedibilità, in ambito giuridico, si traduce in insicurezza giuridica.
Alcuni tribunali accettano i burofax, altri no. Alcuni considerano valido il buromail; altri lo scartano del tutto. La conseguenza è assurda: uno stesso atto può essere corretto in un organo giudiziario e invalido in un altro, a seconda del codice postale in cui cade il fascicolo.
Il risultato: cittadini e avvocati intrappolati in un limbo processuale, dove l’efficienza promessa si trasforma in un labirinto. Una giustizia diseguale che, invece di accelerare, rallenta.
Creatività giuridica e resistenza pratica
Quando la legge diventa più un ostacolo che uno strumento, la creatività giuridica smette di essere un’opzione e diventa una necessità.
E in questo caso, la creatività ha avuto un nome proprio: ripresentare la causa.
Sì, la stessa causa, con gli stessi argomenti e gli stessi documenti.
Ma davanti a un tribunale diverso.
Una decisione poco ortodossa, forse, ma profondamente sensata.
Perché seguire “ciò che dice il manuale” —presentare un ricorso in appello— avrebbe significato aspettare mesi, forse più di un anno, perché la Corte Provinciale decidesse qualcosa di così basilare come l’ammissione al procedimento.
Nel frattempo, il cliente avrebbe continuato a non poter esercitare il proprio diritto.
Ripresentare la causa non è stato una scorciatoia: è stato un promemoria che la giustizia non si misura in passaggi procedurali, ma in risultati concreti.
E a volte, la via più breve verso la giustizia non si trova nel manuale, ma nell’esperienza e nel criterio professionale.
Pensare “fuori dal fascicolo” non è una mancanza di rispetto verso la legge. È un atto di difesa.
Perché il Diritto non è stato creato per ostacolare l’accesso alla giustizia, ma per renderlo possibile.
Una lezione sulla giustizia e sul buon senso
La storia di questa causa non riguarda solo un buromail, né una divergenza giudiziaria. Riguarda qualcosa di più profondo: come la giustizia, per essere veramente giusta, abbia bisogno di qualcosa di più di leggi ben scritte.
Ha bisogno di buon senso, coerenza e, soprattutto, umanità.
La Legge Organica 1/2025 è nata con l’intenzione di rendere la giustizia più rapida, ma la sua applicazione diseguale dimostra che c’è ancora molto da fare. Non basta riformare la procedura: bisogna garantire che l’accesso ai tribunali non dipenda dal caso, né dal criterio mutevole di ogni giudice.
Perché a volte la differenza tra giustizia e frustrazione sta in una semplice interpretazione.
Ed è qui che entra in gioco il ruolo essenziale dell’avvocato: trovare l’equilibrio tra la lettera della legge e il suo spirito, tra il rigore tecnico e la difesa di ciò che è ragionevole.
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